"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




giovedì 21 gennaio 2010

Saving Italian Science


(Questo brano, tratto dal libro "I ricercatori non crescono sugli alberi" che sara' in libreria da venerdi' 22 gennaio 2010, e' stato pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 21 gennaio 2010) .

Saving Italian science. Questo è il titolo di un articolo apparso alcuni anni fa su una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali1. Non è che uno dei tanti articoli che sempre più spesso vengono pubblicati sulle principali riviste scientifiche del mondo per denunciare lo stato sempre più critico della ricerca in Italia, la sua gestione senza prospettiva, la cronica mancanza di finanziamenti, e la loro immancabile riduzione da parte del governo di turno. La preoccupazione percepita internazionalmente è anche dovuta al fatto che il contributo italiano è ancora visibile in alcuni campi della ricerca. Gli scienziati italiani di prestigio e i giovani ricercatori appena emigrati verso le più accoglienti università europee o americane guardano afflitti alla decadenza del sistema nel loro paese d’origine. Sui mezzi di comunicazione italiani si torna a discutere ciclicamente dei problemi dell’università e della ricerca, puntando però l’attenzione soprattutto sui casi di «mala università». La situazione diventa sempre più disperata, e forse la cosa più allarmante è che nell’opinione pubblica e in chi dirige il sistema università-ricerca non si vede alcuna reale preoccupazione per la perdita di competitività del sistema. Sembrano mancare una visione realistica dello stato delle cose ed una prospettiva di riforma lungimirante. I tagli ricorrenti ai finanziamenti per la ricerca immancabilmente scatenano polemiche, spesso inefficaci. Saltuariamente si legge di uno dei problemi più scottanti generati dalla deriva del sistema universitario: la grande quantità di giovani che non riescono ad entrare nel sistema e che sono quindi forzati ad emigrare o a rimanere in Italia in condizioni disastrate. A volte quando discutiamo del problema della ricerca in Italia con un collega straniero, sia esso francese o spagnolo, inglese o americano, ci rendiamo conto che la prima difficoltà sta proprio nel descrivere come funziona il sistema italiano, con i suoi oscuri meccanismi di finanziamento e le incomprensibili regole che ne governano la dinamica.

(...)

Quando si parla di finanziamenti alla ricerca, il mondo politico in genere fa molte promesse, spesso però contraddette dai fatti. Le promesse sono state particolarmente generose da parte del governo Prodi, che aveva collocato la ricerca scientifica e l’istruzione universitaria tra i punti cardine del programma. Ma vediamo, al di là dei proclami, cosa è veramente successo nell’ultimo decennio con il finanziamento alla ricerca di base. Il Ministero ogni anno co-finanzia programmi di ricerca di rilevante interesse nazionale (PRIN) proposti dalle università e dagli osservatori astronomici, astrofisici e vulcanologici. L’attuazione dei programmi ha durata biennale e comprende gran parte dello scibile umano. Il finanziamento PRIN, comunque non arriva all’1% del totale del finanziamento all’università. Si può notare come nel 2006 (governo Prodi) vi sia stato un calo del 30% circa dei finanziamenti, cosicché il già non generoso sostegno alla ricerca di base è diminuito, da circa 130 a poco più di 80 milioni di euro, proprio nel periodo in cui al governo si è insediato lo schieramento politico che, almeno a parole, ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca. Il governo successivo ha agito comunque in piena continuità con il precedente, con i già menzionati tagli targati Tremonti-Gelmini. La ricerca in Italia è dunque trattata come una sorta di bene di lusso cui si può rinunciare quando i soldi scarseggiano. Ricordiamo, ad esempio, i 30 milioni di euro concessi nel 2007 dal governo Prodi agli autotrasportatori, sottratti direttamente dai fondi per la ricerca. In sostanza, il modo con cui negli ultimi anni è stato affrontato il problema della ricerca si basa su soluzioni inadeguate ed estemporanee, come gli osservatori più attenti hanno notato e i diretti interessati hanno sperimentato sulla propria pelle. Senza entrare nei dettagli, ricordiamo che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha promesso nel suo programma elettorale di raddoppiare gli investimenti federali nella ricerca di base in dieci anni, concentrando l’attenzione su scienze della vita, fisica, matematica e ingegneria; aumentare le borse di studio per giovani ricercatori; stimolare la ricerca sulle cellule staminali anche embrionali, eliminando il divieto sul finanziamento federale che George W. Bush aveva approvato nel 2001; utilizzare per la ricerca scientifica gli embrioni soprannumerari, senza crearne appositamente di nuovi. Lo aveva promesso e ha cominciato a farlo già nei primi mesi di governo.

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