"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




lunedì 15 marzo 2010

Coltivare gli studi (Giuliano Milani, Internazionale 12 marzo 2010)




Chiunque abbia partecipato alla cena di un convegno internazionale sa che il funzionamento dell'università italiana è inspiegabile: le semplici domande degli stranieri e le complicate risposte di chi ci lavora lasciano un senso di insoddisfazione generale. Per evitare questa frustrazione gli uni e gli altri potrebbero ricorrere a questo libretto scritto da due ricercatori che, pur vivendo in Italia, sono abituati a dialogare con i colleghi di tutto il mondo. Forse perché sono specialisti di "fisica dei sistemi complessi" e dei "materiali disordinati", riescono dove altri hanno fallito. Spiegano come (non) funziona l'università in Italia, perché siamo arrivati a questo punto e propongono perfino soluzioni: sorvegliare procedure e risultati, favorire il diritto allo studio, coltivare attraverso fondi pubblici la ricerca di base, quella non destinata alle applicazioni immediate che interessano i privati. Come dicono gli autori, quando Einstein nel 1915 formulò la teoria della Relatività Generale, non aveva idea che ottanta anni dopo sarebbe servita a rendere precisi i navigatori satellitari. Se avesse mirato a qualcosa di più concreto della comprensione dell'Universo forse non ci sarebbe arrivato e, oggi, noi ci perderemmo più spesso.

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