"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




martedì 13 aprile 2010

Recensione (Il Mangialibri, di Serena Adesso)


A cosa serve la ricerca? Perché è necessario finanziarla, incrementarla? Cosa fanno i ricercatori? Qual è lo stato dell’Università e della ricerca nel nostro Paese? Due sono gli obiettivi di questo saggio. Il primo è fornire un quadro chiaro, trasparente, cristallino, del sistema università-ricerca in Italia. Vengono analizzate le modalità di finanziamento della ricerca, il progressivo invecchiamento dei docenti universitari che raggiungono il proprio apice di carriera attorno ai sessant’anni e sono sempre più distanti, in alcuni casi, dalla ricerca attiva e pulsante, il fenomeno del “precariato” scientifico che nel nostro paese può protrarsi per molti anni, la situazione complessa del principale ente di ricerca scientifica italiana (il CNR), i provvedimenti maldestri dei governi che si sono succeduti in tutti questi anni e che hanno alimentato politiche non virtuose per lo sviluppo della ricerca e per l’inserimento di nuovi ricercatori. Quest’analisi, tutt’altro che semplice, diviene più rilevante quando è possibile istituire un paragone con ciò che avviene all’estero, a partire dai paesi europei (c’è un confronto tra il nostro CNR ed il CNRS francese) fino a giungere agli Stati Uniti. Il secondo obiettivo è provare a formulare delle ipotesi a cui ispirarsi per una riforma del sistema, cercando di mettere in evidenza i piccoli miglioramenti che possono essere effettuati nell’immediato, senza un enorme finanziamento ma anzi, a volte, a costo zero. L’asse portante di una riforma concreta deve essere una valutazione seria dei titoli e delle attività dei singoli ricercatori, docenti, dei dipartimenti e delle università stesse...

Francesco Sylos Labini, fisico, dopo aver trascorso otto anni tra Svizzera e Francia, dal 2005 lavora presso il Centro Enrico Fermi a Roma svolgendo le sue attività presso l’Istituto dei Sistemi Complessi del CNR. Si occupa di problemi di astrofisica, cosmologia e fisica teorica e ha pubblicato sulle maggiori riviste scientifiche internazionali. Stefano Zapperi, fisico, ha ottenuto il Ph.D. presso la Boston University. Attualmente è ricercatore presso il CNR di Modena. Si occupa di fisica dei materiali disordinati e su questo tema ha pubblicato un centinaio di articoli sulle maggiori riviste scientifiche internazionali. Entrambi i ricercatori compiono un’accurata disamina dei problemi che affliggono l’Università italiana, entrambi hanno provato sulla loro pelle che significa essere un “cervello in fuga” e poi hanno avuto la possibilità di poter tornare a lavorare in Italia. Il loro saggio fa il punto sullo stato delle cose con un linguaggio semplice e accessibile anche ai non addetti ai lavori.

Non compiono solo un atto di denuncia nei confronti di alcuni fenomeni quasi peculiari dell’Università italiana, si pensi ai “baroni” e all’assunzione dei “figli di”, già messi in evidenza in alcuni altri saggi: penso a Davide Carlucci e Antonio Castaldo con Un paese di baroni oppure Nino Luca con Parentopoli, oppure all’esperienza diretta denunciata da Nicola Gardini nel suo I baroni. Come e perché sono fuggito dall’Università italiana. I due ricercatori italiani provano a fornire degli spunti di riflessione comune, delle soluzioni, penso a quello del blind referee, affinché le valutazioni dei titoli siano il più oggettive possibili, oppure a quella di portare l’età pensionabile dei docenti universitari alla pari con quella degli altri paesi europei, favorire la “mobilità” dei ricercatori per rompere il fenomeno dei “feudi” universitari. Su una cosa non hanno alcun genere di dubbio: l’Università non può e non deve essere lasciata completamente in mano alle sovvenzioni dei privati e il finanziamento alla ricerca, se ben gestito, “non è un costo ma l’investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e per quello delle nuove generazioni”.

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