"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




venerdì 3 settembre 2010

L’emergenza continua dell’Università


In fisica è spesso utile fare un Gedankenexperiment ovvero un esperimento concettuale che viene solo immaginato. Supponiamo dunque che il prossimo ministro dell’Università (ad esempio) sia quello che verrebbe scelto nel migliore dei mondi possibili, una sorta di Leonardo da Vinci nel suo campo. Supponiamo che si insedi domani o tra qualche mese e supponiamo anche che abbia una ragionevole dote finanziaria. Che cosa dovrebbe o potrebbe fare ? Per prima cosa dovrebbe iniziare a mettere le toppe alle drammatiche situazioni che si sono consolidate nel corso degli ultimi anni ma anche negli ultimi decenni. In altre parole prima di pensare in grande, con una visione prospettica che abbia una portata di qualche decennio, dovrà fare i conti con un’emergenza continua. E questo è necessario, vista l’accanimento dell’ultimo governo ma anche la negligenza e l’approssimazione con cui si sono mossi i governi passati. Ma è ovvio che una politica tappabuchi, anche se attuata dalle persone più serie e con le migliori intenzioni non porta lontano e non risolve i problemi strutturali a cui il sistema università-ricerca si trova di fronte.

Purtroppo per risolvere
problemi strutturali di questo tipo non basterebbe neanche un Leonardo da Vinci del momento. Quello di cui avrebbe bisogno il nostro ipotetico ministro è una solida conoscenza della realtà attuale ed un piano di riforme lungimirante, oltre ovviamente alle capacità di metterle in pratica che è un’arte molto difficile. Mentre quest’arte è la prima qualità del nostro ministro, la conoscenza dei fatti e la capacità progettuale devono essere fornite, necessariamente, dai suoi collaboratori. Non è immaginabile che una persona singola sia in grado di capire e ragionare su come riformare un sistema tanto complesso, litigioso, e pieno di prime donne che hanno già la loro propria ricetta, come quello dell’istruzione terziaria italiana.

Dunque l’abilità del nostro ministro sarebbe in primis quello di avere l’intelligenza politica di formare un
network di persone serie, competenti e di buona volontà che abbiamo preventivamente studiato e discusso i problemi in maniera analitica e proposto soluzioni. Solo un ragionamento collettivo ed approfondito può dar luce ad una riforma sensata, che comunque andrà seguita passo-passo, adattata e migliorata a seconda di come il sistema reagisce ai cambiamenti.

A me queste sembrano delle considerazioni abbastanza ovvie. Ma purtroppo non mi sembra che qualcuno si stia muovendo, all’interno dei vari partiti politici della supposta opposizione, in questi termini. Mi sembra anzi che invece di fare una politica dell’università e della ricerca (e questo è solo un esempio), da parte della politica, si faccia prevalentemente un’attività parlamentare (ad esempio emendamenti alla legge ora nella fase finale del suo iter parlamentare) con qualche trovata estemporanea ed evanescente con cui si finisce nei giornali per qualche settimana. C’è poca sostanza dietro, poco studio, poca riflessione. A mio parere, invece di rincorrere l’emergenza del momento la priorità dovrebbe essere proprio quella di
elaborare una strategia che abbia un’ampia prospettiva. Nel passato questo avveniva all’interno dei vari partiti, pur con tante contraddizioni, ma più passa il tempo e più il gioco politico sembra non avere un orizzonte temporale che superi il mese, e, aspetto ancora più grave, perdendo il contatto con il proprio mondo di riferimento. D’altro canto, a cercarli, ci sono dei singoli e dei gruppi di persone che si sforzano di trovare il bandolo della matassa: studiando. Finché non si riuscirà a pensare “in grande” si rimarrà inchiodati a rincorrere l’emergenza del momento senza aver chiara una direzione e dunque senza saper coinvolgere le persone dietro un’idea. Mi sembra che questo semplice ragionamento valga in qualsiasi contesto nella politica italiana (e soprattutto nell’opposizione attuale) ed è questa la frustrazione più grande di tanti: la consapevolezza dell’incapacità della politica di elaborare una proposta solida e lungimirante, al di là delle capacità del “Leonardo da Vinci” di turno.

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